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Il monte Tabor è necessario per salire un altro monte che è quello del Calvario. Gesù sa che l’unica maniera per reggere la notte è immergersi nella luce, fare un vero e proprio bagno di bellezza. Anche noi, nell’ora del Calvario, nell’ora della Croce, non vediamo la luce, ma solo la memoria di quella bellezza può non farci scappare. Questa è la Speranza, la memoria viva di questa luce che ci accompagna anche quando è buio.
Varcata la soglia dell’interiorità la prima impressione è quella di un buio pesto. In quel buio ci raggiunge una Parola. È luce perché ti ricorda che c’è qualcuno in quel buio. Quando si entra dentro noi stessi abbiamo il bisogno di capire che lì dentro c’è un buio abitato da una Presenza di luce che si dà inizialmente a noi sotto forma di parola.

L’esperienza dell’adorazione come preghiera è stare, nel silenzio davanti alla bellezza, lasciandoci raggiungere dalla sua Parola, che dona Speranza anche nel buio più completo. La preghiera dona gioia anche quando attorno non c’è più speranza: dona uno sguardo diverso a quella realtà, non la toglie, non ti fa scappare, ma ti aiuta ad affrontarla in modo diverso. Ti fa vedere la realtà sotto una luce diversa. Ti fa scendere dal monte Tabor, per affrontare ciò che accadrà a Gerusalemme.

Ma perché questo avvenga è necessario imparare a stupirsi. Il fisico tedesco Albert Einstein scriveva: “Chi non sa più provare stupore è come morto, i suoi occhi sono spenti”. Spesso crediamo che meravigliarsi per le sorprese della vita sia un privilegio riservato ai piccoli. Tutti possiamo invece goderne, in qualsiasi stagione della nostra vita. Se da un lato lo stupore è una porta di accesso al bello, dall’altro ci permette di superare il rischio dell’indifferenza offrendoci l’opportunità di cogliere la sofferenza, la solitudine, la distanza che ci separa dagli altri per tentare di porvi rimedio. Questo sguardo al bello ha bisogno di tempo e va allenato, mosso dalla curiosità, a partire dal mattino. Pur nella fretta delle azioni quotidiane, proviamo a lasciarci stupire dallo straordinario meccanismo della natura, dono gratuito di Dio: il sole che sorge il canto degli uccelli, il saluto del vicino scorbutico... Raccogliamo questi attimi di gioia e seminiamoli attorno a noi per il resto della giornata

IN PREGHIERA

Signore Gesù, sul monte Tabor
ti sei mostrato ai discepoli
come figlio di Dio, avvolto di luce.
Hai piantato nel loro cuore un seme di speranza
per aiutarli a sopportare il monte del Calvario.

Signore, rendimi capace
di gustare la bellezza dello stare di fronte a Te
e dammi la forza di affrontare
i momenti difficili della vita
alla luce di quella speranza.

Insegnami a cercare nella tua Parola
la presenza di luce che da senso anche al buio
e a condividere con quanti soffrono
la forza di guardare oltre la realtà.
Amen

 

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Vogliamo riflettere oggi sulla realtà dell’Oratorio e sul  come renderlo sempre più operativo. Sappiamo che il senso profondo della vita cristiana è vivere l’incontro con il Signore e darne testimonianza agli altri. Si annuncia Gesù come salvatore, ci si adopera per vivere in comunione con Lui e, progressivamente, ci si indirizza verso una esistenza incentrata sul servizio e la comunione.

Ecco, l’oratorio è il mezzo attraverso il quale ci si educa alla testimonianza della vita vissuta nel servizio di coloro che si incontrano. Ce lo ricorda S. Giovanni Bosco, quando afferma che l’attività degli oratori aiuta ad essere “buoni cristiani e onesti cittadini”.
Si può dire che l’oratorio nasce quando una comunità, genitori e figli, cominciano a porre attenzione alla dimensione educativa. Questo conduce a progettare e vivere proposte di formazione e di accompagnamento alla vita dei ragazzi e degli adolescenti e iniziative offerte alle famiglie e con le famiglie.

Nell’oratorio si progettano e si realizzazione tutte quelle proposte che possono far “crescere la vita”: per i ragazzi, gli adolescenti, gli adulti, gli anziani. Ad ogni livello e in ogni modo, purché leale. Attraverso l’Oratorio poi, è possibile incrementare la conoscenza e la stima reciproca per progettare assieme, facendolo divenire così una forma concreta di comunità.

Non è quindi solo campo da gioco o solo per i ragazzi. Può diventare il luogo di appoggio delle famiglie per una loro crescita sana e cristiana. Per loro e i loro figli.

Nella nostra Comunità abbiamo le strutture necessarie sia a Marlia che a Matraia e S. Pancrazio; si tratta di organizzarci con un progetto comunitario. E’ necessario costituire un gruppo coeso, pensante, propositivo e attivo e l’ Associazione ANSPI può aiutare in questo. Essa è da promuovere per avere come iscritti non solo ragazzi che giocano, ma adulti che hanno il senso di appartenenza ad una realtà che ritengono positiva e nella quale sono disposti a collaborare. E’ una sfida da accogliere per il futuro di una comunità.

 

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Si celebra oggi la 32a Giornata Mondiale del Malato e Papa Francesco nel suo messaggio, si ispira al capitolo 2 del Libro della Genesi (Gen 2,18): “Non è bene che l’uomo sia solo”

“Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: -afferma Francesco -non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita”, spiega il Papa.

Il Santo Padre richiama quindi il modello del Buon Samaritano (Lc 10, 25-37) con la "sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre” e ricorda che “la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso”.

“Siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione”, invita il Papa.

Infine:  “i malati, i fragili, i poveri sono al centro della Chiesa e devono essere anche al centro della nostra attenzione umana”

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La Domenica della Parola di Dio che si celebra in questa Domenica, è una giornata «dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio per far crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le Sacre Scritture».

È stata istituita il 30 settembre del 2019 da papa Francesco, il quale spiega che: «Dedicare in modo particolare una domenica dell’Anno liturgico alla Parola di Dio consente, anzitutto, di far rivivere alla Chiesa il gesto del Risorto che apre anche per noi il tesoro della sua Parola perché possiamo essere nel mondo annunciatori di questa inesauribile ricchezza».

Infatti, perché la fede sia matura, occorre “far emergere il posto centrale della Parola di Dio nella vita ecclesiale, raccomandando di incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale”. Custodire e crescere nella familiarità con la Parola di Dio equivale ad avere uno “sguardo altro” sulla complessa realtà di ogni giorno: «La Parola di Dio sempre ti fa guardare dall’altra parte: cioè, c’è la croce, qui, è brutto, ma c’è un’altra cosa, una speranza, una resurrezione. La Parola di Dio ti apre tutte le porte, perché Lui, il Signore, è la porta».

Da qui l’invito ripetuto del Santo Padre: «Prendiamo il Vangelo, prendiamo la Bibbia in mano: cinque minuti al giorno, non di più. Portate un Vangelo tascabile con voi, nella borsa, e quando sarete in viaggio prendetelo e leggete un po’, durante la giornata, un pezzettino, lasciare che la Parola di Dio si avvicini al cuore. Fate questo e vedrete come cambierà la vostra vita con la vicinanza alla Parola di Dio».

Ricordiamo che S. Girolamo, autore della Vulgata, la prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia che mise ordine e sostituì le precedenti versioni in lingua ebraica e greca diceva: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”.

 

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Quando leggiamo “In principio…” subito ci viene in mente: la creazione. Prima di tutto dobbiamo capire che quel “in principio” vuol dire a fondamento, non all’inizio di una storia. Come quando si costruisce una casa: in principio si fanno le fondamenta. In secondo luogo, Dio nella creazione mette ordine al caos. Prende questa terra informe e separa: la luce dalle tenebre, le acque che sono sotto il firmamento da quelle che sono sopra il firmamento, la terra dalle acque.
Giovanni scrivendo li prologo come inizio del Vangelo ci invita prima di tutto a mettere Gesù a fondamento. Senza di Lui la casa della nostra vita cadrebbe. Se non sappiamo lasciare che diventi carne viva nella nostra vita, che non venga ad abitare in noi rischiamo di perdere il senso di tutto. Perché solo grazie a Lui possiamo mettere ordine ai caos della nostra vita.


Impariamo da Maria e Giuseppe: una coppia che si ama. Forse l’unica che si vede nel presepe, o quasi. In “principio” c’erano “verbo e luce”, venuti poi al mondo attraverso l’amore gratuito, coraggioso e fiducioso di un uomo e una donna che insieme diventano padre e madre.
Gesù, luce che splende nelle tenebre, viene “alla luce” perché una donna lo ha accolto e un uomo ha scelto di amarla oltre ogni giudizio e convenzione sociale. Tutto ciò, già “in principio” ci parla dell’amore di Dio. Gesù è nato ed è qui per rivelare il volto autentico del Padre … per questo nel presepe c’è posto per tutte le coppie, per tutte le famiglie, per noi..


Io sono Maria e io sono Giuseppe. E nel presepe c’è spazio anche per noi che non siamo una madre e un padre perfetti ma vogliamo regalare a questo figlio le nostre parti migliori! Nel presepe c’è spazio anche per noi, attenti a non rubare la scena perché, come ogni genitore, siamo chiamati a mettere in luce nostro figlio e poi pian piano indietreggiare!”

 

Casa parrocchiale

Piazza don Carlo Matteoni, 9
Segreteria: da lunedì a giovedì
dalle ore 16,00 alle ore 19,00

tel. 0583 414082

 

Contatti

Don Agostino te. 353 4594727

Don Luigi tel. 345 3095444

Don Samuele tel. 333 3885531

Suore San Giuseppe te. 351 9283022

 

S.Messe festive

Sabato e vigilia delle feste:
ore 17,00 chiesa San Pancrazio

ore 18,00 chiesa d Marlia

Domenica   

ore 10,30 chiesa di Marlia
ore 11,00 chiesa di Matraia

 

 

S.Messe feriali

Cappella S. Emilia   
ore 08,15: Lodi    ore 08,30: S. Messa   
(no mercoledì e sabato)
 
Confessioni:     sabato ore 17,30

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